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Un articolo sulla drepanocitosi aiuta a capire il ruolo delle mutazioni sia nel contrastare le malattie, che nel provocarle
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PUBBLICATO 27 marzo 2018
Un articolo, pubblicato sul quotidiano New York Times, ricostruisce la storia della drepanocitosi che è utile per capire come la stessa mutazione di geniche riesce a contrastare una malattia è anche causa di un’altra.
La storia della drepanocitosi comincia 7300 anni fa in quello che oggi è il deserto del Sahara, ma che, all’epoca, era un’area ricca di boschi, laghi, fiumi e savane. Le tribù che vivevano in quelle terre vivevano di pesca e di caccia. E’ stato ricostruito che, in quelle epoche remote, si verificò una mutazione dei geni che programmano la produzione di emoglobina, vale a dire della molecola alla quale si lega l’ossigeno, per essere trasportato nei globuli rossi. Questa mutazione riguardò solo uno della coppia di geni relativi alla produzione dell’emoglobina e, quindi, non ebbe nessun effetto sulla salute della persona che ne era portatrice. Nei millenni seguenti quell’area geografica diventò un deserto e i suoi abitanti migrarono verso zone dell’Africa più a sud nelle quali trovarono un ambiente più vivibile e simile a quello in cui i loro progenitori erano insediati. Nelle generazioni successive che arrivano fino ai giorni nostri, calcolate in circa 250, i soggetti portatori della mutazione dell’emoglobina citata in precedenza sopravvissero più facilmente nell’ambiente in cui si trovavano perché erano protetti da una delle malattie più gravi diffuse in quelle regioni: la malaria. Ricerche iniziate negli anni ’50 hanno dimostrato che i globuli rossi delle persone portatrici della mutazione non permettono, al parassita che provoca la malaria, di svilupparsi e riprodursi efficacemente e, di conseguenza, l’aggressione all’organismo fallisce. Questo, però, ha riguardato coloro che presentavano solo la mutazione in uno dei due geni. I bambini che nascevano con la mutazione in ambedue i geni avevano la drepanocitosi, una malattia grave che ne provocava il decesso entro i primi anni di vita. Quindi, in poche parole, i portatori della mutazione in un gene solo avevano una maggiore probabilità di sopravvivere, anche rispetto a chi la mutazione non l’aveva, perché ammalavano meno di malaria, mentre chi aveva la mutazione in tutte e due i geni non arrivava all’età per riprodursi. Questi complessi meccanismi di interazione fra genetica e malattie hanno anche limitato la diffusione della malaria in altre aree geografiche. Ancora oggi i portatori della mutazione sono distribuiti prevalentemente in Africa, ma ce ne sono anche in Europa, nel vicino Oriente e in India e, ogni anno, nascono 300.000 bambini con drepanocitosi. Nel frattempo, si sono messe a punto cure in grado di fronteggiare le manifestazioni della malattia e di garantire la sopravvivenzadi chi ne è affetto. Parallelamente, sono progredite le ricerche sulle alterazioni genetiche all’origine della drepanocitosi e si è scoperto che esse sono di 5 tipi e sono caratteristiche dei seguenti Paesi o aree geografiche: Senegal, Repubblica Centro Africana, Camerun, Benin e India-Arabia. Queste ricerche hanno permesso, appunto, di confermare che la mutazione più antica è quella attribuibile alle popolazioni dell’Africa Occidentale. Nella sua diffusione ad altre aree dell’Africa hanno giocato un ruolo la conversione delle foreste in terreni agricoli, la diffusione delle zanzare portatrici della malaria e ulteriori migrazioni delle tribù. Infine, al passaggio della drepanocitosi verso altri continenti hanno contribuito le tratte degli schiavi.
I ricercatori intervistati nell’ambito dell’articolo hanno sottolineato che queste importanti linee di ricerca non hanno esclusivamente lo scopo di ricostruire la storia della malattia ma che mirate a mettere a punto nuovi trattamenti in grado di contrastarla.
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