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Vitamina D e fertilità
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Parere degli esperti
PUBBLICATO 10 gennaio 2018
[Gli articoli della sezione “Il parere degli esperti” riguardano alcuni fra gli argomenti più importanti e dibattuti delle rispettive aree cliniche. Dato il livello di approfondimento raggiunto, i testi possono contenere termini e concetti molto complessi. L’utilizzo del glossario potrà essere di aiuto nella comprensione di questi articoli e altri contenuti del sito, più divulgativi, contribuiranno a chiarire gli argomenti trattati.]
La vitamina D è ben conosciuta per la sua funzione di mantenimento dell’omeostasi di calcio e fosfati e della mineralizzazione ossea. In realtà la sua funzione è molto più ampia e dimostrata dalla correlazione tra ipovitaminosi D e aumentato rischio di cancro, malattie autoimmuni, diabetee malattie cardiovascolari. Inoltre, insieme agli ormoni sessuali, la vitamina D modula i processi riproduttivi sia nelle donne sia negli uomini.
L’80-90% della vitamina D viene prodotta dalla cute per effetto dei raggi UVB, mentre una quantità minore deriva dalla dieta e/o dalla supplementazione. La vitamina D dalla cute e dalla dieta viene metabolizzata a livello epatico in 25-idrossivitamina D, forma usata per valutare lo stato di vitamina D e classificarlo in valore sufficiente se superiore a 30 ng/ml, valore insufficiente se compreso tra 20 e 29 ng/ml, deficit se inferiore a 20 ng/ml.
La forma 25-idrossivitamina D viene convertita a livello renale, ma anche a livello di molti altri tessuti, in 1,25-diidrossivitamina D, ovvero la forma attiva che agisce mediante specifici recettori per la vitamina D distribuiti in vari tessuti come lo scheletro, le ghiandole paratiroidee e i tessuti riproduttivi (ovaie, endometrio, tube, placenta, testicolo, tubuli seminiferi, cellule del Sertoli, cellule di Leydig, spermatozoi, vescicole seminali, epididimo, prostata).
La correlazione tra stagioni ed esposizione alla luce solare con la riproduzione è stata ampiamente studiata: i livelli circolanti di 25-idrossivitamina D mostrano una variabilità stagionale con alti livelli in estate e autunno e bassi livelli in inverno e primavera. Nei Paesi del Nord, dove esiste un forte contrasto di luminosità a seconda della stagione, i tassi di concepimento diminuiscono durante i mesi d’inverno buio, mentre vi è un picco di concepimenti durante l’estate e di conseguenza un picco di nascite durante la primavera.
Molti studi hanno evidenziato effetti della vitamina D sui risultati di percorsi di fecondazione in vitro (FIV), su condizioni patologiche come la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e l’endometriosi e sulla qualità del liquido seminale (conta, motilità e morfologia degli spermatozoi).
La vitamina D stimola la produzione di ormoni steroidei: è essenziale per la sintesi degli estrogeni in entrambi i sessi. Uomini con bassi livelli di vitamina D mostrano bassi livelli di testosterone e bassa percentuale di spermatozoi mobili e morfologicamente normali. In donne con endometriosi, invece, i recettori per la vitamina D sono sovraespressi a livello endometriale sia ortotopico sia ectopico, inoltre sono stati evidenziati più alti livelli circolanti di 1,25-diidrossivitamina D e normali livelli di 25-idrossivitamina D rispetto a donne senza endometriosi. L’endometriosi ha una patogenesi correlata a processi infiammatori e immunomediati: la vitamina D è coinvolta nella regolazione del sistema immunitario.
Un deficit di vitamina D è frequentemente presente in donne con sindromedell’ovaio policistico, il più comune disordine endocrino femminile con una prevalenza del 5-10% nelle donne in età riproduttiva, caratterizzato da aumentata secrezione di androgeni a livello ovarico e surrenalico, sintomi da iperandrogenismo, quali irsutismo, acne e alopecia, anovulazione e irregolarità mestruali, aspetto ecografico delle ovaie policistiche, insulino-resistenza e predisposizione a diabete mellito tipo 2.
Molti autori hanno evidenziato una correlazione tra obesità e deficit di vitamina D, ma non è chiaro se l’insufficienza di vitamina D derivi dall’obesità o viceversa. In queste pazienti aumenti dei livelli circolanti di vitamina D dopo accurata terapia sono stati correlati a normalizzazione o miglioramento della ciclicità mestruale, dell’acne e della resistenza insulinica.
Nei programmi di fecondazione in vitro, donne con più alti livelli sierici e nel liquido follicolare di vitamina D hanno tassi più alti di gravidanza clinica, anche se i dati in letteratura sono ancora contrastanti.
Un dato particolarmente interessante emerge da uno studio condotto tra 101 giovani donne in cui è stata evidenziata una correlazione inversa tra livelli di vitamina D e livelli di progesterone ed estradiolo: alti livelli di vitamina D sono associati a basso rischio di tumore al seno grazie al potenziale effetto di riduzione dei livelli di estradiolo e progesterone.
Deficit di vitamina D sono frequenti nelle donne in gravidanza per un aumentato consumo sia materno sia fetale: tale deficit è associato a un aumento del rischio di diabete gestazionale e altre complicanze della gravidanza quali ipertensione gestazionale e preeclampsia, vaginosi batterica, ritardo di crescita intrauterino, parto pretermine. Per tali motivi la supplementazione di vitamina D risulta sicura ed efficace dalla gravidanza fino al parto.
Alla luce dei dati riportati in letteratura, è auspicabile che il dosaggio dei livelli ematici di 25-idrossivitamina D diventi un esame di routine, sia nelle donne sia negli uomini, per rilevare prontamente quegli stati carenziali risolvibili con terapie semplici e ben tollerate, sia nei casi in cui si ricerchi prole sia ai fini di prevenire e trattare disturbi impattanti sulla qualità di vita.
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