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Monitoraggio cardiotocografico: cos'è, a cosa serve e come funziona


Di Alice Dutto
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02 Agosto 2017
Un esame che si effettua dalla 27esima per valutare il benessere del feto e e registrare la frequenza delle eventuali contrazioni comparse nella gestante. Serve anche in fase di travaglio per valutare se accelerare il parto o procedere a un cesareo. Ecco tutto quello che c'è da sapere sul tracciato tocografico

Chiamato anche «non stress test», il monitoraggio cardiotocografico è un esame non invasivo che non procura problemi né alla mamma né al feto e serve per il controllo del benessere fetale e la valutazione dell'attività contrattile della futura mamma.

Generalmente, si effettua come pratica standard alla 40^ settimana, cioè quando la gravidanza arriva al termine e, associato a visita ed ecografia, serve per monitorare il benessere della mamma e del bambino. Si può anticipare alla 27/28 settimana in caso di necessità, su valutazione del ginecologo curante, per monitorare eventuali patologie. 
È  un esame utilizzato di norma anche prima del parto durante la fase del travaglio.
 

COME SI EFFETTUA IL MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO



«L'esame si esegue appoggiando due sonde (tre nel caso dei gemelli) sulla pancia donna, in corrispondenza dell'utero, e ha due obiettivi: monitorare la frequenza cardiaca del feto, registrandone le variazioni, e valutare le contrazioni uterine in una registrazione della durata di almeno 15-20 minuti» specifica Alessandro Bulfoni, responsabile Ostetricia e Ginecologia in Humanitas San Pio X.
 
Il monitoraggio si esegue su un lettino o su poltrone reclinabili nell'ambulatorio dell'ospedale o in pronto soccorso, viene effettuato dalle ostetriche e vidimato da un ginecologo. «Si tratta di un esame gratuito e si effettua solo in caso di bisogno».

QUANDO SI EFFETTUA IL MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO


 
Di norma, questo esame si effettua al termine della gestazione, verso le 40 settimane di gravidanza, ma può essere utile farlo a partire da 27-28 settimane di gravidanza «nei casi in cui sia necessario monitorare il benessere fetale o l'attività contrattile della gravida se riferisce di avere contrazioni ed essere a rischio di parto pretermine – continua l'esperto –. Può essere però necessario effettuarlo anche in altri casi in cui siano presenti patologie della gravidanza, come l'ipertensione materna, il ritardo di crescita del feto (iposviluppo fetale), una minaccia di parto pretermine, o la rottura anticipata delle membrane».

L'esame si esegue anche in fase di travaglio sempre per valutare il benessere fetale in questo momento.
 

COME SI VALUTA IL MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO



In generale, il tracciato registra la frequenza cardiaca del feto «il cui range di normalità (cioè la linea base di frequenza cardiaca) dovrebbe essere di 120-160 battiti per minuto. Ma questa frequenza non è costante, per questo nel corso dell'esame devono essere registrate accelerazioni del battito fetali maggiori rispetto alla linea base di circa 10 battiti al minuto – aggiunge Bulfoni –. Possono poi essere presenti anche lievi decelerazioni, ma devono essere esclude decelerazioni variabili medio-gravi o tardive».

A seconda dei risultati, il ginecologo potrà decidere di procedere a un parto anticipato. È possibile che ci siano dei falsi positivi, perché «l'interpretazione del tracciato del monitoraggio cardiotocografico è molto complessa: oltre al risultato della registrazione, infatti, bisogna anche valutare la storia clinica della futura mamma e completarla con il risultato di altri esami strumentali, in particolare l'ecografia ostetrica».
 

Meno controverso è il monitoraggio delle contrazioni: «sono fisiologiche se presenti in un numero massimo di cinque contrazioni nell'arco di una giornata: se il tracciato segna la presenza di numerose contrazioni, il clinico può decidere di iniziare o modulare una terapia tocolitica, che ha il fine di far scomparire le contrazioni».

MONITORAGGIO CARDIOTOCOGRAFICO IN FASE DI TRAVAGLIO


Il monitoraggio cardiotocografico viene utilizzato anche prima del parto naturale, durante la fase del travaglio per valutare il benessere fetale. In generale, «l'esame serve all'ostetrico o al ginecologo per valutare se sia necessario accelerare i tempi del travaglio o addirittura, in caso di tracciato non rassicurante o patologico, decidere di effettuare taglio cesareo urgente». 

Nel caso di un monitoraggio in fase di travaglio, «la durata dell'esame è maggiore e viene ripetuto a seconda delle condizioni cliniche della paziente anche a intervalli di un'ora (per un totale di 20 minuti di esame ogni ora circa). Se l’esame evidenzia variabili a rischio, il ginecologo valuta la possibilità di effettuarlo a intervalli più ravvicinati o di passare al monitoraggio continuoQuesta è anche la nostra “filosofia”: ogni caso viene valutato con attenzione per garantire sempre la sicurezza di mamma e bambino».

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