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Parto oltre termine: ma quando nasce?


Non sempre il bebè viene alla luce con puntualità. E quando passa la data fatidica, la mamma può essere colta da dubbi e ansie. Ecco come affrontarle

Parto oltre termine: ma quando nasce?
Non succede nulla. E non accade niente nemmeno il giorno dopo, né quello dopo ancora… Quel bimbo che avresti così tanta voglia di conoscere sembra non avere intenzione di abbandonare il rifugio che lo ha protetto per nove mesi. In te, però, iniziano a farsi strada emozioni sempre più difficili da tenere sotto controllo.
Non tutte le donne affrontano questo “ritardo” con lo stesso atteggiamento: alcune manifestano la loro insofferenza molto più di altre, come se in loro ci fosse una sorta di intolleranza verso una pancia che vivono ormai come un ingombro che rende tutto più difficile. Al contrario c’è chi, avendo avuto una gravidanza serena, vorrebbe forse indugiare ancora un po’ in quello stato di benessere, quasi non avesse tanta voglia di partorire.

Normali preoccupazioni

Quando però l’attesa si protrae oltre le 40 settimane, prima o poi si scatenano i dubbi. Si vive in uno stato di continua allerta e a prevalere sono per tutte le stesse paure, alcune sensate (“Il mio bimbo starà bene?”) altre irrazionali (“Non mi libererò mai di questa pancia”).
È un momento in cui ogni stato d’animo si amplifica, un momento in cui si realizza di non poter controllare ogni aspetto della propria esistenza. E questa scoperta è difficile da accettare, soprattutto in una società come la nostra. Un tempo, le nostre nonne vivevano con molta serenità il fatto che un bimbo venisse al mondo solo “quando era il suo momento”. Ora, invece, si fa molta più fatica ad accettare questa filosofia e diventa quasi ovvio farsi prendere dal dubbio che qualcosa non stia andando come dovrebbe.

Sarò in grado di farcela?

L’altalena emotiva in cui si vive ci fa sentire più fragili e insicure, a volte addirittura colpevoli, quasi ci si sentisse in qualche modo responsabili del procrastinarsi dell’attesa. Ci si confronta con il medico e con l’ostetrica, chiedendo consigli. O ci si aggrappa alle tradizioni popolari, convincendosi che un bagno caldo o una serie infinita di scale potranno finalmente essere la chiave di volta.


A turbare la mamma, però, è soprattutto un pensiero: l’ansia di non saper riconoscere il travaglio quando questo arriverà. E, ancora di più, la preoccupazione di non riuscire ad affrontare una prova che appare insuperabile. Spesso inconsapevolmente, ci si ritrova a sperare che l’attesa duri all’infinito, perché la gravidanza soddisfa il nostro arcaico desiderio di maternità senza costringerci, però, ad affrontare alcun problema. È un equilibrio perfetto, in cui si può “giocare” a fare la mamma senza dover fare i conti con un neonato che piange, non mangia, non dorme la notte… Prima che fisicamente, però, bisogna riuscire a staccarsi emotivamente da quel bambino immaginato.


Per vivere meglio gli ultimi giorni

Come affrontare, allora, questo periodo nel modo migliore?
Intanto, ricordandosi che la data presunta del parto è solo presunta: solamente il 6 per cento circa delle donne partorisce spontaneamente proprio il giorno calcolato. Nella maggior parte dei casi, la nascita avviene fra le due settimane precedenti e le due settimane successive.
E anche dopo il (presunto!) termine, è importante continuare a programmare la propria vita come sempre. Quindi:
  • Non chiuderti in casa ad aspettare il travaglio, come se fossi malata, ma continua a uscire a cena, andare al cinema, fare shopping, vedere gli amici… Meglio disdire un appuntamento all’ultimo minuto piuttosto che rinunciarvi all’infinito nell’ansia dell’attesa.
  • Dai fiducia al tuo corpo. Il campanello d’allarme suonerà solo quando sarà il momento. E sarà impossibile sbagliarsi…
  • Resta in contatto con il tuo bambino, ascolta i suoi movimenti, senza però farti prendere dall’angoscia se ti appaiono meno intensi, meno frequenti. A fine gravidanza il bimbo si muove meno e in modo diverso, perché ha minor spazio a disposizione.
  • Creati situazioni di benessere, dedicati alle attività che più ti piacciono. Un bagno caldo, una passeggiata, una nuotata. O ancora, la lettura di un buon libro, l’ascolto di un po’ di musica, il lavoro a maglia… Ti distrarrai e terrai l’ansia lontana dalla mente.
  • Frequenta altre future mamme che vivono la tua stessa condizione: la condivisione aiuta a sentirsi meno sole ed elimina l’idea di essere l’unica a dover affrontare una difficoltà.
  • Privilegia la lentezza, la calma. Riposa il più possibile, per non arrivare senza forze al momento in cui il travaglio comincerà davvero.
  • Circondati di persone che ti facciano sentire serena, protetta. Quando un bimbo si fa attendere più del dovuto, l’agitazione sembra contagiare tutti.
  • Per proteggerti dall’ansia di parenti e amici, però, può bastare una piccola bugia: “Il ginecologo ha rifatto i calcoli e ha spostato la data del parto avanti di una settimana…”. O ancora, farsi trovare in casa il meno possibile, dirottando strategicamente le chiamate sulla segreteria telefonica. Dove, per evitare disperati appelli di ricerca a tutti gli ospedali della zona, avrai provveduto a registrare un messaggio ad hoc: “Va tutto bene. E sono fuori a divertirmi. Per ora, non ci sono novità. Quando succederà qualcosa, sarete i primi a essere avvisati!”.


L’abbraccio del partner

In quest’ultima fase della gravidanza il ruolo del papà è fondamentale. A lui spetta il compito di offrire un sostegno emotivo alla mamma. Deve starle vicino sapendo accogliere la sua ansia, senza ributtargliela indietro come spesso invece, seppure involontariamente, finiscono per fare molte delle persone che le sono accanto. Ungesto affettuoso, una carezza, un abbraccio possono essere molto più significativi di mille parole. Perché la donna ha bisogno di qualcuno che sappia contenerla e ascoltarla.


Bebè sotto controllo

Dopo la 40ª settimana di gestazione, il benessere del bambino viene monitorato con alcuni esami. Più precisamente:
  • una visita ginecologica, per verificare lo stato in cui si trova il collo dell’utero e capire se siano già in corso quei mutamenti che preannunciano l’avvio del travaglio.
  • un’ecografia, per valutare la quantità di liquido amniotico: se c’è un forte riassorbimento, infatti, può essere il segnale che la placenta sta lavorando meno.
  • un tracciato cardiotocografico (o monitoraggio), per controllare il battito cardiaco del bimbo e la presenza di eventuali contrazioni uterine.
La frequenza di questi controlli è legata alla condizione di ciascuna donna. Ogni ospedale, però, segue un proprio protocollo: per questo, quando si sceglie la struttura dove partorire, è importante chiedere informazioni anche su come vengono affrontate le gravidanze oltre il termine. Sapere prima quali sono i controlli previsti, la scadenza con cui vengono programmati e le modalità per l’induzione del parto aiuta a evitare di farsi prendere dal panico di fronte a indagini inaspettate.

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