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Bambini prematuri: come si sentono mamma e papà


Di Valentina Murelli
bambini_prematuri

20 Novembre 2018 | Aggiornato il 28 Dicembre 2018
Paura, rabbia, senso di colpa, senso di perdita, impotenza: sono tra i sentimenti più comuni che possono vivere i genitori dei neonati pretermine. Ne parliamo con la psicologa perinatale Rosa Maria Quatraro.


Sensazione di perdita e impotenza, di un legame interrotto bruscamente che non è più possibile riportare a com'era prima. È, questa, una delle prime sensazioni dei genitori di un bambino nato prima del tempo, e in particolare delle mamme, per via del loro inevitabile coinvolgimento fisico.

Attorno a questa sensazione se ne affollano in breve molte altre, dalla paura alla rabbia, dall'angoscia alla preoccupazione per eventuali trattamenti dolorosi per il bambino, dal senso di colpa  a quello di solitudine. Con una variabilità che dipende molto anche dalle situazioni che hanno portato alla nascita prematura, dal vissuto del parto, dalle condizioni del piccolo.

Non una ma tante prematurità
“Quanto più è prematura la nascita, in particolare prima delle 32-33 settimane di gravidanza, tanto più la situazione viene vissuta in modo angosciante, perché maggiore è il pericolo per la sopravvivenza del bambino o il rischio di danni” spiega Rosa Maria Quatraro, psicologa presso il reparto di ostetricia dell'Ospedale San Bortolo di Berica (Vicenza) e co-direttrice della collana editoriale Psicologia della maternità di Ericskon.

Un'altra differenza significativa riguarda quanto il parto sia stato improvviso e imprevisto. “Ci sono situazioni nelle quali la nascita prematura è un'eventualità in parte prevista, magari per superare qualche complicazione ostetrica che insorge nel corso della gravidanza” afferma Quatraro. Sottolineando che in questi casi i genitori hanno modo di 'prepararsi', di cominciare a pensare che la gravidanza potrebbe finire prima del previsto, di confrontarsi con neonatologi e pediatri su possibili rischi e terapie.

“In queste situazioni può succedere che, come prima reazione alla “brutta” notizia, la mamma sia portata a un'interruzione momentanea del contatto mentale ed emotivo con il proprio bambino, un distanziamento funzionale alla situazione, che permette di non venire travolte dall'angoscia e dal senso di colpa”. Poi, a mano a mano che ci si adatta alla nuova realtà, il contatto viene ristabilito.

Altre volte, invece, il parto avviene in modo improvviso, con le mamme catapultate di punto in bianco in sala parto o a fare un cesareo d'emergenza e che dopo la nascita si ritrovano frastornate, sgomente, incredule. “Senza contare che in alcuni casi, penso per esempio alla preeclampsia o al distacco di placenta, ai rischi per il bambino possono sommarsi quelli per la vita della mamma, per cui al trauma del legame interrotto si aggiunge quello del rischio per la propria vita e la propria salute in generale” precisa la psicologa.

Reazioni naturali
Una delle emozioni più frequenti nelle mamme di bimbi prematuri è il senso di colpa: per un corpo che ha fallito, che non ha saputo portare la gravidanza al termine previsto e proteggere il bambino nel delicatissimo momento del suo sviluppo. In realtà non c'è colpa: nella grandissima maggioranza dei casi non c'è nulla che la mamma avrebbe dovuto fare (o non fare) per evitare quanto accaduto, ed è molto importante che gli operatori la rassicurino su questo punto.

Molto comune è anche una certa ambivalenza rispetto al bambino: “Per esempio un desiderio fortissimo di vederlo, ma anche la paura di avvicinarsi alla terapia intensiva neonatale (Tin), di trovarsi di fronte un figlio che magari non è più grande di una mano”. D'altra parte l'esperienza della Tin, con le sue culle tecnologiche, le apparecchiature sofisticate, i suoni estranei e sconosciuti, non può che essere stressante, "nonostante il grande lavoro che negli ultimi anni il personale delle Tin sta facendo per rendere più contenitiva e meno 'fredda' l'assistenza fornita in questi particolarissimi reparti".

E comuni sono anche, sul versante positivo, la forte motivazione ad allattare, perché si sente che è uno delle poche modalità concesse di fare qualcosa di concreto per il proprio bambino – anche come aspetto riparatorio di un'eventuale senso di colpa – e, su quello negativo, emozioni come ansia e depressione: “Quale mamma con un figlio in Tin non vive con ansia ogni squillo del telefono?” chiede Quatraro.

Ma attenzione: non significa che per forza queste mamme e questi papà soffrano di disturbi emotivi conclamati, sui quali è necessario intervenire dal punto di vista psicologico o medico. “Spesso si tratta di una normale reattività emotiva a un evento improvviso e scioccante” afferma la psicologa, aggiungendo però che è vero che i genitori di bambini prematuri – e di nuovo soprattutto le mamme, specie se hanno vissuto un parto traumatico – vivono momenti di particolare fragilità e sono più a rischio di altre mamme e di altri papà di sviluppare veri e propri disturbi emotivi”.

Più raramente, invece, possono esserci difficoltà di accettazione della situazione o del bambino, soprattutto quando ci sono danni importanti. “Una certa ambivalenza è del tutto normale, ma a volte – ripeto, molto raramente – può strutturarsi in un vero e proprio rifiuto” racconta Quatraro. “Sono temi di cui non si parla mai perché sono molto dolorosi da affrontare, ma può succedere che le cose non vadano come sperato. E che alcuni genitori non riescano a immaginare di costruire una nuova vita con un bambino portatore di un handicap grave. Gli operatori devono trovare il modo per stare loro accanto”.

Le reazioni dei papà
papà dei bimbi prematuri non sono meno impauriti, preoccupati o sgomenti delle mamme, però è indubbio che, in molti casi, ci siano differenze sostanziali nel modo in cui reagiscono. In un primo momento i papà si trovano a svolgere la funzione, importantissima, di tenere testa alle difficoltà della situazione, di sostenere la mamma, darle forza e coraggio, organizzare gli aspetti logistici della nuova vita scandita dagli orari e dalle esigenze della terapia intensiva neonatale.

“In genere sono stanchissimi: tornano subito al lavoro, che in qualche modo li aiuta anche a riempire le giornate, ma appena possono corrono in Tin. Sono sempre di corsa, sempre “sotto”, non hanno modo di viversi la depressione del momento, il 'lutto' del legame interrotto, cosa che invece le mamme riescono a fare di più. Così, spesso succede che crollino quando il pericolo più grave è scongiurato e finalmente il bimbo lascia l'ospedale e torna a casa”.

Il ritorno a casa
La Tin, lo abbiamo detto, è sicuramente un ambiente difficile da vivere. Ma non è detto che il tanto atteso ritorno a casa con un bimbo prematuro sia una passeggiata. “Bisogna in qualche modo 'rinascere', imparare di nuovo a fare da soli quello che si faceva in ospedale con l'assistenza degli infermieri” spiega Quatraro.

E ancora: “Bisogna imparare a gestire l'ansia relativa a ogni minima manifestazione del bambino che possa essere letta in chiave negativa, alle sue tante visite di controllo, che spesso vengono vissute in apnea, con un'angoscia pazzesca. Bisogna cercare di evitare di diventare eccessivamente apprensivi, trasformando la vita del bambino in una sequenza infinita di visite specialistiche a ogni minimo dubbio o preoccupazione, ma anche di trasformare il bambino in 'figlio speciale' costretto per sempre a indossare il suo vestitino da guerriero che ce la fa in ogni situazione”.

Piccole strategie per superare le difficoltà
Tanti fattori modulano in che modo una mamma e un papà reagiscono a criticità così grandi come un parto prematuro e un periodo più o meno lungo di terapia intensiva neonatale, a partire dal tipo di assistenza ricevuta. “Tutto il personale deve fare un grande lavoro di facilitazione alla relazione tra genitori e bambino.È molto importante che medici, infermieri e psicologi se ce ne sono sappiano ascoltare questi genitori in difficoltà: a volte bastano poche parole dette con calma ed empatia a dare un grosso sostegno” afferma Quatraro.

D'altra parte se è già normale per un genitore di un bambino nato a termine avere dubbi, preoccupazioni, sensazioni di incapacità e di inadeguatezza, questo diventa ancora più accentuato con i piccoli pretermine. “In questo caso il consiglio è sempre di parlarne con gli operatori, cercare qualcuno con cui confidarsi e al quale affidare le proprie preoccupazioni”.

Al di fuori della Tin, poi, l'unico consiglio veramente valido per tutti è quello di cercare il più possibile di prendersi cura anche di sé. “Può sembrare impossibile, ma è molto importante per mantenere un minimo di equilibrio. Ciascuno, ovviamente, lo farà cercando la strategia che più lo aiuta a 'reggere', che sia fare yoga, leggere, camminare con il cane o mille altre cose ancora”. Può anche essere d'aiuto organizzarsi una routine quotidiana, che scandisca bene il tempo  al di fuori dell'ospedale, contenendo la corsa verso il baratro dei pensieri negativi.

E se il tempo passa e le emozioni negative restano? Se dopo tre o quattro mesi, quando magari il bambino è già a casa e tutto sommato in buona salute, la mamma di notte continua a svegliarsi ogni ora per controllare se respira, a provare un'angoscia ingestibile a ogni minima difficoltà, a programmare visite in modo compulsivo? “In questo casi è importante parlarne con qualcuno, a partire dal partner, ma magari anche con il pediatra o uno psicologo. Per capire se è tutto parte di un normale processo di elaborazione della situazione o se serve un aiuto specializzato. Non è detto che si debba fare una vera e propria psicoterapia o prendere farmaci: a volte basta  basta un ciclo di colloqui psicologici attraverso i quali dare voce ai propri sentimenti più autentici. Già questo può aiutare a distendere la situazione a casa”.

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