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Diabete gestazionale, affrontalo così


Quando si manifesta, gli esami, le cure e i rischi per mamma e bambino. Puntando sulla dieta e lo stile di vita

Diabete gestazionale, affrontalo così
È molto simile al diabete di tipo 2, quello che di solito insorge dopo i 60 anni come conseguenza di stili di vita sbagliati. Ma, come dice lo stesso nome, il diabete gestazionale può manifestarsi solo durante la gravidanza, per il particolare tipo di condizioni che si instaura nei nove mesi.
La patologia consiste infatti nell’incapacità dell’organismo di assorbire e utilizzare in modo adeguato gli zuccheri. La causa principale  è legata al nuovo assetto ormonale: per garantire il necessario apporto di zuccheri al feto, gli ormoni della placenta tendono a contrastare l’azione dell’insulina prodotta dall’organismo materno. Se questo meccanismo si inceppa, si innesca una condizione di resistenza all’insulina e un aumento eccessivo della concentrazione di glucosio nel sangue materno.

Chi è più a rischio?

In Italia il 16% delle donne sottoposte al test della glicemia risulta positivo. Le persone più a rischio sono le future mamme in sovrappeso, quelle che hanno avuto casi di diabete gestazionale in famiglia e coloro che hanno già sofferto della patologia in gravidanze precedenti, a meno che non abbiano cambiato le loro abitudini alimentari.

L’esame per individuarlo

Diagnosticare il diabete gestazionale è semplice, perché basta effettuare un’analisi del sangue. In pratica, si tratta di misurare la glicemia per tre volte in tre momenti diversi: prima di assumere una quantità di 75 grammi di glucosio e poi, nuovamente, a distanza di un’ora e di due ore. Le soglie massime per le tre rilevazioni sono rispettivamente di 93, 180 e 153 milligrammi di glucosio per decilitro di sangue: se anche uno solo dei tre valori risulta superiore al parametro di riferimento si può formulare la diagnosi di diabete gestazionale. L’analisi va effettuata fra la 23esima e la 28esima settimana di gravidanza: prima di questo periodo è infatti difficile fare una diagnosi, mentre dopo la 28esima diventa più problematico intervenire per evitare complicazioni.

Le conseguenze per la madre e per il nascituro

Se, dunque, dall’esame della glicemia risulta che la donna soffre di diabete gestazionale, bisogna prendere subito i provvedimenti necessari per salvaguardare la salute di mamma e bebè. Le conseguenze più frequenti della patologia sono gli scompensi metabolici, che possono portare a complicanze cardiovascolari. Inoltre, gli zuccheri in eccesso passano al bambino, che può avere un maggior peso alla nascita, con un valore medio di circa 4,3 chili. Naturalmente, questo comporta una accresciuta probabilità di complicanze durante il parto e di ricorso al cesareo. Se non si interviene con una terapia corretta, può aumentare anche il rischio di sofferenza fetale e di morte endouterina, anche se ormai, grazie ai trattamenti, questi casi non si verificano praticamente più. A lungo termine, le conseguenze più rilevanti, anche se non gravi, del diabete gestazionale riguardano il nascituro: cresciuto in utero con alti valori di glicemia, da adulto avrà maggiori probabilità di soffrire a sua volta di diabete di tipo 2.

Dieta, la prima terapia

La prima cura consiste nell’intervenire sull’alimentazione modificando la dieta quotidiana. Inoltre, viene raccomandato di fare un po’ di attività fisica, ormai considerata un caposaldo della cura del diabete poiché aiuta a ridurre la concentrazione di glucosio nel sangue. Anche una semplice camminata va bene: bastano 30-40 minuti al giorno a una velocità di 3-4 chilometri all’ora, ovvero a passo agile, ma non troppo. Nei casi in cui i valori della glicemia risultino particolarmente elevati, è indicata anche una terapia a base di insulina. I risultati della dieta sulla salute della madre, ma soprattutto del feto, vanno tenuti sotto controllo in un centro di patologia della gravidanza. In particolare, per quanto riguarda il nascituro è importante monitorare la crescita con ecografie periodiche: il più delle volte il suo sviluppo torna alla normalità. In alcuni casi però, circa il 5% del totale, la crescita rimane comunque eccessiva. In questa evenienza bisogna ricorrere a una terapia a base di insulina.

Un’opportunità per conoscere il proprio livello di rischio

Dopo il parto vengono meno i fattori aggravanti determinati dall’azione degli ormoni placentari e il diabete gestazionale scompare spontaneamente nel 99% dei casi. Se ciò non accade, bisogna semplicemente proseguire la terapia avviata durante la gravidanza. Ma anche quando il sintomo scompare da solo il vero problema è che, se non si cambiano le abitudini alimentari e gli stili di vita, può ricomparire in seguito: se in una donna di 35 anni insorge il diabete gestazionale, spesso questo ricompare intorno ai 50 anni sotto forma di diabete di tipo 2. In pratica, la patologia si manifesta nelle donne che, soprattutto a causa di abitudini scorrette, già correvano un rischio maggiore di sviluppare il diabete di tipo 2 in età più avanzata. In questo senso, la patologia può essere considerata come un’opportunità per conoscere il proprio livello di rischio di diabete di tipo 2, e quindi per prendere le opportune contromisure. In Italia, infatti, si stima che metà dei pazienti con diabete di tipo 2 non sanno di averlo: dalle statistiche risulta che il problema riguarda il 4% degli adulti sopra i 60 anni ma, in base all’incidenza delle malattie cardiovascolari, si stima che in realtà la percentuale reale sia quasi doppia, pari cioè a circa l’8%.

Un’attenta alimentazione

In genere, in caso di diabete gestazionale, la dieta da seguire viene stabilita dal nutrizionista in base al peso materno iniziale e ai valori di glicemia e indica in modo preciso alla futura mamma che cosa e quanto mangiare. In particolare, è importante diminuire il consumo di  zuccheri e grassi. Perciò bisogna ridurre, anche senza eliminarli del tutto, alimenti come la carne rossa, i formaggi, pane, pasta, pizza e aumentare, invece, il consumo di frutta, verdura, pesce, pollame e legumi.

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