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Il mio libro sulla nostra storia

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 finalmente dopo 3 anni ho finito di scrivere il mio racconto che narra del percorso fatto con mia moglie , tutte le difficoltà , tutte le delusioni per poi .............................................. https://www.amazon.it/dp/B083XX4N61

“Prima con le spalle al muro, oggi mamma di Daniele”: la strada in salita della fecondazione assistita

I test di gravidanza buttati, la consapevolezza dello scorrere del tempo, la scelta di affidarsi ai medici. Il sogno di un figlio, quando la natura non è dalla nostra parte, può far rima con dolore, fallimento, sconfitta. Sensazioni che Raffaella Clementi, 43enne di Terni, oggi mamma del piccolo Daniele, 22 mesi, ha raccontato nel libro “Lettera ad un bambino che è nato” (Imprimatur). Una testimonianza di vita nata anche dall’esperienza del suo blog mammamimmononsolo.blogspot.come che richiama il libro di Oriana Fallaci “Lettera ad un bambino mai nato”.
Raffaella, da dove è nata la voglia di raccontare un percorso così difficile come quello della procreazione medicalmente assistita?
“Quando Daniele ha compiuto un anno, gli ho regalato un libro di favole e novelle scritte da me. Ma sentivo che non avevo ancora fatto abbastanza. Dal confronto con altre donne che hanno vissuto la mia condizione, sul blog che ho aperto dopo un mese da quella festa, è cresciuto dentro di me il bisogno di lasciare un segno di quello che avevo passato, come un talismano per chi ancora sta cercando un figlio. Ricerca che purtroppo non dipende dal merito”. 
Quanto tempo è passato dal momento in cui tu e tuo marito avete imboccato la strada della Pma a quello in cui sei rimasta incinta?
“Non molto, sei mesi. Alla seconda stimolazione è andata bene. Ma prima abbiamo girato diversi centri d’Italia”.
Qual è stato il momento più brutto?
“Quando butti il quinto test di gravidanza negativo e ti senti con le spalle al muro, senza possibilità di scelta. E allora odi il tuo passato, te la prendi con te stessa, ti colpevolizzi. Ma poi, la paura di combattere contro un tempo inesorabile ci ha fatto decidere per la fecondazione assistita”.
Avevate considerato anche l’adozione?
“Quando inizi questo percorso non sai dove ti porterà. Magari cominci con un’inseminazione, poi passi alla fecondazione in vitro. Continui a spostare un po’ più in là i confini. Noi ce l’abbiamo fatta ma chissà cosa sarebbe successo se avessimo fallito ancora. Le carte per l’adozione, forse, io le farei anche domani. Mio marito no, è molto provato”.
La coppia quali contraccolpi subisce nel mezzo di questa eccessiva medicalizzazione?
“Durissimi. Qualche giorno fa mio marito, rispondendo ad una domanda di una persona, ha detto che io ero talmente concentrata sul mio dolore che lui non poteva esprimere il suo, di fallimento. Ecco, io non me ne ero accorta, talmente miravo all’obiettivo e ragionavo sul mio senso di vuoto. La coppia subisce un allontanamento, vive una profonda crepa che poi va ricucita”.
Quanto cambia la quotidianità durante la Pma?
“Del tutto. Il lavoro, una cena con gli amici, il sesso: tutto è regolato da ecografie, visite e monitoraggi . Fasi stabilite da altri”.
Daniele che bimbo è?
“Travolgente, incredibile. Ci ha rivoluzionato la vita. Con lui sono morbosa come lo sarei stata se lo avessi concepito naturalmente”.
Credi che la tua maternità sia diversa da quella delle altre?
“In parte sì. Cerco di interrogarmi di più sulla sua educazione, mi metto continuamente in discussione. Non credo sia diverso l’amore ma il dubbio su come doverlo dosare dosare, sì. Qualche giorno fa l’ho sgridato perché non aveva chiesto scusa. C’è stato un tira e molla di tre quarti d’ora. Quando l’ho raccontato sul blog, una mamma mi ha scritto che gli ho negato l’affetto. Io la vedo al contrario: la mia paura è dargliene troppo.
Ti sei chiesta cosa penserà Daniele un giorno del tuo libro?
“Forse mi dirà che potevo tenermi questa storia per me. Ma scrivendola, sento di averlo fatto rinascere”.

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