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Infertilità maschile, quando è colpa del varicocele


Il varicocele è un disturbo che si sviluppa nella pubertà ed è causa di sterilità in quattro casi su dieci. Molti uomini scoprono di soffrirne solo quando faticano a concepire, ma se individuato in tempo può essere trattato e felicemente risolto

Infertilità maschile, quando è colpa del varicocele
L’infertilità, in Italia, riguarda 250-300 mila coppie e in metà dei casi dipende dall’uomo. Quattro volte su dieci, la causa nei maschi è il varicocele. Ma a incidere sul problema c’è anche il numero degli spermatozoi, che negli ultimi 50 anni si è praticamente dimezzato. Sono alcuni dei dati diffusi nel corso del 32° congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia (SIA), che inevitabilmente invitano a farsi delle domande. Come prevenire il varicocele e salvaguardare la fertilità maschile? In che modo aiutare le coppie che faticano a concepire un bambino? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Franco, Presidente SIA e professore associato di Urologia presso il Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e Scienze Urologiche dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma.

Che cos’è il varicocele e come prevenirlo?

“Il varicocele è una condizione piuttosto diffusa tra gli uomini (uno su cinque ne soffre).
Esiste una predisposizione familiare e sono più colpiti i soggetti longilinei. È caratterizzato dalla presenza di varici venose a carico del testicolo (più frequentemente quello sinistro), che provoca un aumento della temperatura e una ridotta ossigenazione dello stesso. È quasi sempre asintomatico e si sviluppa nell’età della pubertà: la misura migliore per prevenirlo, quindi, è la visita dall’andrologo in età adolescenziale”, spiega Giorgio Franco. “Chi scopre di averlo dovrebbe cercare di tenere il problema sotto controllo evitando ad esempio gli sport che generano un abnorme aumento della pressione addominale (sforzi massimali con pesi), che possono peggiorare il problema”.

Quali cure sono possibili?

“Molti scoprono di soffrirne solo quando faticano a concepire. Non tutti quelli che ce l’hanno, però, sono destinati a essere infertili. Il trattamento, quindi, non è sempre indicato”, spiega l’esperto. Trattamenti possibili sono la legatura chirurgica, che consiste nel chiudere i rami venosi dilatati, o la sclerotizzazione delle vene spermatiche, che prevede l’iniezione nelle vene dilatate di una sostanza che le occlude. “In entrambi i casi i risultati sono buoni, anche se la prima opzione è in genere più risolutiva”, dice Giorgio Franco.

Quando va trattato?

“Se si riscontrano un’alterazione del liquido seminale e un varicocele di grado elevato, il trattamento è in genere consigliato perché porta quasi sempre a un miglioramento del quadro seminale. Sta all’andrologo valutarne l’opportunità tenendo conto anche dell’età dell’uomo e della partner. Dopo i 35-40 anni, infatti, il trattamento perde un po’ la sua indicazione perché diventa più difficile recuperare la fertilità maschile”, dice l’esperto. “Se poi la donna è avanti con gli anni, è ancora più importante prendere in considerazione altre soluzioni, come ad esempio la fecondazione assistita. Il rischio, altrimenti, è di perdere troppo tempo e di non riuscire ad arrivare al risultato sperato. Prima di vedere dei miglioramenti del liquido seminale dopo l’intervento, infatti, servono almeno sei mesi”.


Dopo quanto tempo gli aspiranti genitori dovrebbero rivolgersi a un esperto?

“Dopo un anno di tentativi, se il bambino non arriva è bene consultare l’andrologo, il ginecologo o un esperto di medicina della riproduzione. Passati i 35-37 anni, però, è meglio anticipare di sei mesi quest’appuntamento e sottoporsi il prima possibile almeno agli esami più tradizionali: il dosaggio ormonale e la valutazione della pervietà tubarica (per sapere se le tube sono ostruite) per lei, e lo spermiogramma per valutare la qualità degli spermatozoi per lui.”


Lo stile di vita aiuta a preservare la fertilità maschile?

“Certamente! Curare l’alimentazione, fare attività fisica, evitare l’eccesso di alcool, fumo e droghe possono contribuire a salvaguardare la fertilità”, dice Giorgio Franco.
È importante, inoltre prestare attenzione all’eccesso di calore a livello dello scroto. “La spermiogenesi (cioè la fase che porta allo sviluppo di spermatozoi maturi) avviene meglio a una temperatura più bassa rispetto a quella del resto del corpo. Il consiglio, quindi, è di non lavorare con il computer sulle gambe, di bandìre i pantaloni col cavallo stretto e di privilegiare la maglieria intima di cotone, ad esempio”.
Ma anche altri elementi possono incidere sulla fertilità. “Il quadro spermatico, infatti, è molto variabile nella stessa persona: il numero, la motilità e la percentuale di spermatozoi con forme normali possono cambiare di settimana in settimana. Quest’oscillazione può dipendere da tanti fattori: dalla temperatura esterna, dalle condizioni climatiche, dallo stress e così via”, dice l’esperto.


Quali altri elementi sono implicati?

“Gli inquinanti diffusi nell’ambiente o nel cibo rappresentano uno dei fattori che mettono a rischio la fertilità”, spiega l’esperto, “ma sono l’elemento meno gestibile”. Si tratta dei cosiddetti interferenti endocrini, sostanze disperse nell’ambiente (come ammorbidenti, detersivi, conservanti, disinfettanti) che possono influire negativamente sulla capacità di concepire.
Anche le malattie sessualmente trasmissibili, come la clamidia, possono avere un ruolo. “Sono malattie spesso asintomatiche che, se non curate, possono rendere infertili”.


Sul fenomeno incide molto anche la tendenza a rimandare ad oltranza il progetto di un figlio. A un’età più avanzata, soprattutto della donna, calano le probabilità di concepire e l’orologio biologico porta molte coppie a rinunciare, se non al primo figlio, al secondo o al terzo desiderati. É importante, quindi, iniziare la ricerca per tempo”.
Michela Crippa

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